martedì 9 maggio 2017

Chissà chi lo sa?

La mattina dormo.
Perchè sono uno scrittore coi controcazzi e questo fanno gli scrittori coi controcazzi la mattina: dormono.
Però il bello sta nello smettere di farlo e non alzarsi, rimanendo lì con la palpebra calata e il cervello che comincia a stiracchiarsi e fare ginnastica.
Sfortunatamente stamattina, la mia poltiglietta grigia ha deciso di porsi domande un filo più strutturate del solito "prima la cacca o i cereali?", ponendomi dispettose domande.
C'è logica nel caos?
Guarda un po' 'sto stronzo cosa ti va a pensare.
All'inizio non ho fatto una piega, no, non c'è, sennò che caos sarebbe?
Però, però, ripensandoci, sempre immobile e sempre con gli occhi chiusi ho dovuto ragionarci un po'.
Lottando con la mia ignoranza e l'istinto ho dovuto aprire una concessione alla possibilità che sì, possa esserci logica anche dove non si direbbe.
C'è un filosofo che mi possa aiutare please?
Queste sono lane caprine che credo cardino quei tipi là.
Ma mi vanno bene anche saltimbanchi e imbonitori, a volte l'opinione più brillante viene da dove meno te l'aspetti, anche perché dando uno sguardo qua e là le teorie in giro mi lanciano ignudo in bocca a matematica, fisica quantistica e altra roba che mi fa seccare i coglioni all'istante.
Affascinante, niente da dire, ma per me un muro di mattoni alto un chilometro.
Quindi?
Ho volutamente lasciato da parte il termine entropia, che è quello con cui il caos si presenta in società, un po' come "Saruzzo" in famiglia e Rosario in Comune.
Intignito, ho aperto qualche documento in rete e ho finito per convincermi, dopo colpi di teorie astruse (per me, ovvio) e lunghe frasi di cui non ho capito minimamente il significato, che l'essere umano è veramente immerso nel nulla, nell'ignoranza più crassa.
Una razza di depressi predestinati all'annientamento se non fossero stati invenati psicofarmaci e antidepressivi.
Non sappiamo niente di niente, teorizziamo, preghiamo, guardiamo il Trono di Spade per non menarcela troppo e via.
Questa tremolante situazione globale mi conforta, l'incompiutezza delle nostre vite e dei nostri gesti eleva l'infimo, ci mette tutti sullo stesso piano, checché dicano gli Alfa agli altri per tenerli sotto il calcagno.
Siatene fieri Beta e sottoposti di tutto il mondo, nessuno sa un cazzo di niente.








martedì 2 maggio 2017

Il signor Gramatica

Il Signor Gramatica la notte prima è andato di corpo.
Si è stupito perché la stitichezza lo accompagna fedele nella sua ultima tratta, ostinata e contraria.
Ma molto c'entra il metallo.
È sempre stato molto importante per Gramatica, perchè ci ha plasmato l'esistenza e da quello ne è stato plasmato.
Quarant'anni da battilastra, un mestiere nobile e segreto, rovente come un antro magico, sempre con un martello in una mano e l'altra a scorrere su quelle pelli duttili.
Sotto una maschera di legno, sopra un foglio di alluminio, dritto come un lenzuolo inamidato.
Poi una serie di corteggiamenti, diminuendo la grandezza dello strumento, battendo, picchiettando, accogliendo tensioni, fino a far sparire bugne e imperfezione e tendere il lenzuolo in altro modo, come una colata d'argento che riempie le narici e il cuore.
Ne ha battute di carrozzerie Gramatica, quando ancora un'auto valeva un abito di sartoria.
Ora non più, da tanto tempo.
Un tempo lunghissimo, proprio lunghissimo, nel quale ha solo fluttuato.
L'armatura è lì, appoggiata ad un busto.
Lastre acquistate all'ingrosso, scelte un po' così, perché non è più il tempo delle antiche ferrazze, a volte al Brico, a volte da scarti di fabbri amici suoi, vecchi di scintille spente quanto il Signor Gramatica.
Ha imparato tecniche nuove vecchie di secoli, il bulino e l'azzurratura, lavorando la notte perché il sonno ormai è un miraggio.
S'è sentito di nuovo giovane, Gramatica, vivo e diretto da qualche parte, non sa dove e non gli importa.
L'elmo l'ha voluto semplice, solo due corna in cima, giusto ai lati del pennacchio.
E gli spallacci, beh, quelli li ha rifiniti per giorni e giorni, con girali d'acanto che ha scovato su certi libri presi al Castello dando fondo alla pensione minima.
La notte in cui le forme hanno preso il loro ordine sul suo corpo rattrappito è stata la migliore che Gramatica ricordi.
Con eccitazione s'è dato alla politura, pasta abrasiva sempre più fine e passate continue, come onde del mare, avanti e indietro, avanti e indietro, fino alla luce.
L'armatura ora brilla come cromo sotto la lampadina, insieme con la lama, uno spadone che Gramatica ha ben bilanciato servendosi dei pesini di un attonito gommista.
Non ha previsto scudo.
Non servirà.
Attende Gramatica, attende un segno, con quell'eccitazione che si accumula nel solo pensiero dell'atto rendendo delizioso il tormento e l'attesa trattenuta.
Domenica mattina il sole splende.
Tutti pezzi vanno al loro posto, serrati da cinghie di cuoio e moschettoni d'ottone.
Spessore variabile sulla panziera, mobilità flessibile per mani e piedi coi loro anelli d'acciao dolce ripiegati come spirali infinite.
È il lavoro migliore del Signor Gramatica, la sintesi di una vita spesa nel metallo.
Esce presto per la strada, sferragliando come un commesso del ferramenta che frughi cercando brugole nel retro.
Sale sulla metropolitana, tenendo la spada inguainata nel fodero di tessuto ricamato.
Poca gente assonnata, lo guarda e commenta in cento lingue, sorride perché quel cavaliere anacronistico mette di buon umore con tutto quel luccicare.
Sale le scale mobili e chiude la visiera prima di vedere il Duomo.
Da lì dietro la facciata bianca è ancora più frastagliata, filtrata da aperture a forma di croce latina.
Poi, lentamente sguaina la lama, con un suono puro e definitivo.
Scciuum, una cosa così.
Il primo a cadere è orientale,
Di netto la femorale, con un getto perfettamente paralello al terreno che stupisce sia lui sia Gramatica.
Cade urlando a terra, rotolandosi in una pozza che va allargandosi sotto i calzari di ferro.
Scivola sul rosso Gramatica, ma subito si rialza, pieno di energia creativa, di vita.
La testa di una grassa turista inglese è la seconda.
Il marito pare sorpreso vedendola spiccata con così tanta precisione e con aplomb osserva il capo della moglie rotolare sul sagrato, facendo sollevare qualche piccione, fissarlo negli occhi.
Il cavaliere ora mulina con tutta la forza, sollevando schizzi di sangue dai corpi che cercano la fuga, brandelli di materia cerebrale, ossa, il metallo non ha occhi, non esprime giudizi.
Definisce.
Sirene, polizia, armi da fuoco.
La pelle non riluce più, il cromo è rosso, sgocciola anime da ogni ribattitura, da ogni anello di maglia.
Gramatica ansima, inquadrando dalla feritoia la Polizia schierata con le armi spianate.
Prende un respiro, poggiando la punta della spada a terra.
Poi la rialza, alzandola verso il cielo e va.
Crepitio, contraccolpi, proiettili deviati e la spada sempre davanti a sé.
Bruciore, al petto, spessore troppo ridotto, pensa Gramatica, altro bruciore al braccio, ma la spada non si abbassa, pochi metri ancora.
Avanzando si sentono le esplosioni secche delle armi da fuoco, lo sferragliare delle giunture e il rimbalzo dei frammenti di metallo che schizzano via scintillando.
A due metri dalla linea di fuoco si fa tutto nero.
Si trova in ginocchio senza quasi rendersene conto.
Avanza ancora qualche centimetro grattando con le ginocchiere, poi inquadra il selciato attraverso una delle croci.
L'ultima cosa che vede.
Che ridere, lui comunista ateo e bestemmiatore.




giovedì 13 aprile 2017

il Triangolo Quadrato

Il triangolo quadrato è sostanzialmente due cose: la prima una forma geometrica che Euclide rifiuterebbe ma il patafisico Jarry no, perchè il primo è un notorio rompiballe il secondo un guru involontario e perciò ancor più patafisico, la seconda il mio terzo romanzo che, finalmente, conclude la saga milanese e toglie di mezzo i tre protagonisti, almeno dalla mia vita.
Quando i personaggi ti girano in testa da troppo tempo ti senti un po' come alla vigilia delle grandi cene familiari, vorresti contrarre l'ebola per poter tirare il pacco all'ultimo momento, ma non puoi.
Lo scrittore invece può ed è una liberazione scaricarsi di quelle personalità che si è fatte crescere amorevolmente coll'aiuto dei plasmon per pagine e pagine.
Questa è la faccia del tomo




E sì, c'è un coccodrillo, e c'è anche un motivo perché sia lì.
Ma non spoilero.
Dopo aver esplorato i sotterranei, gli ospedali e varie altre zozzerie i tre famigerati Scandurra, Begotti e Benetti (che non è Benetti ma non ho mai capito come si chiami) si infognano nelle beghe condominiali di un palazzo di ringhiera della Vecchia Milano.
Lì un triangolo semplice, diciamo scaleno, diventa un triangolo quadrato: lui, lei, l'altro e l'assassino di qualcuno di questi.
Voilà.
Capito perché Euclide non riuscirebbe ad escogitare un teorema valido?
E un monito finale: state attenti quando partecipate alle riunioni di condominio a cuor leggero: là dentro si annida tutto il male del mondo e la bestia scorrazza libera, urlando e scorreggiando.
Mi si permetta una ulteriore notazione, nella scorsa settimana sono usciti anche quattro libri per ragazzi, editi da Gribaudo, che si intitolano "la città in tasca".
Si aprono formando un ambiente, anzi quattro, con plancetta e personaggi semoventi fustellati: una sciccheria per i fortunati piccini.
Testi miei e illustrazione della Dolce, Cristina Raiconi.



Ora, vorrei dire anche due cose sulla foto.
Cercavo di creare un personaggio e mi sono avvolto in saio da lettura e sdraiato sul divano, solo che l'agghiacciante immagine riporta un mezzo malato terminale agli ultimi sussulti.
Non è così, tranquilli, ho solo sbagliato caratterizzazione.
La prossima andrà meglio.

domenica 14 agosto 2016

Resistenza ad oltranza

Il premier turco Tayyip Erdogan e il Direttore del Reparto Corse Mv Agusta Magni hanno in comune una caratteristica: la resistenza oltre ogni ragionevolezza.
L'uno, il turco,




dopo undici anni di governo, sta facendo a pezzi decenni di lavoro che Mustafà Kemal detto Ataturk spese per il proprio paese facendone un esempio di equilibrio tra culture e religioni, rendendolo un simbolo che è presente affisso ovunque ad Istanbul (Ataturk significa, "Padre della patria") e lo fa con la resistenza ad oltranza di un presidente democraticamente eletto, dice, ma che opera contro ogni rispetto per la persona, gli elementari diritti al dissenso, alla libertà di opinione persino con la persecuzione verso una minoranza, quella curda, fatta spesso passare per ciò che non è, un gruppo di terroristi pericolosi per la democrazia.

Ma non sono mica i media nostrani a spiegarci che lassù, nel lembo di territoio che si chiama Rojava e che nessuno conosce, essi lottano per resistere ed esistere e per dimostare che spessissimo gli attentati sono orchestrati proprio dal Governo per mettersi in posizione di forza, e in quanti hanno pensato e pensano lo stesso del golpe appena sfiorato, (una roba da operetta che rivaluta il nostro vecchio Junio Valerio Borghese....) che ha dato la possibilità di dar sfogo ad arresti a carrettate col sorriso gioioso e il cuore spumeggiante di un Tayyip mai così tronfio e sgomitante nello scacchiere politico mondiale?
Tornando a bomba, il Rojava è un'utopia stretta tra i confini della Turchia e della Siria, il  luogo dove un popolo reclama la sua indipendenza e dove si combatte (e moltissime sono donne, quindi musulmane, quindi giù un altro luogo comune sull'islamismo d'accatto che ci viene propinato come uno e monolitico), contro l'Isis e le sue puttanate religiose senza dire beh, e senza troppo clamore, dedicando una vita alla causa.
Tanto per dirlo una volta per tutte che non c'è nessuna nuova crociata in giro, i musulmani si ammazzano anche tra di loro che è un piacere, ma questo nessuno lo scrive.
Anzi sì, l'ha fatto, benissimo, uno che avrebbe potuto dedicarsi ad altro, perché già altro lo fa e lo fa bene: Zerocalcare con la sua testa a pera  e il suo Kobane Calling, graphic da leggere e rileggere per capire come vanno le cose, riservando alla stampa nazionale di approfondimento il ruolo di accenditore per la carbonella per Ferragosto.
Ne ripropongo la copertina, per gli sbadati:




Ma poi c'è Mr. Arturo Magni in tutta questa storia, l'aggancio ardito, che si merita, ovviamente, una foto ben più grande di quella di Erdogan.




L'uomo è purtroppo mancato qualche mese fa, ed ha rappresentato in modo specularmente inverso la resistenza ad oltranza che oggi è del Tayyip, profusa fino ad un certo punto con gli stessi metodi: competenza specifica, timone di comando stretto in pugno a guidare un manipolo di scherani, un obiettivo chiaro in mente con lo spettro della disfatta sempre davanti agli occhi.
Lui però non ammazzava nessuno, non inventava colpi di stato, non faceva sparire giornalisti, scrittori, opinionisti e pensatori.
No, lui si chiudeva nel reparto corse di Verghera di Samarate, e sperimentava come fare andare più forte una motocicletta da corsa, oltre i suoi limiti.
Fortunatamente non solo, ma col braccio armato dell'Ingegner Bocchi al tavolo da disegno, sommo conoscitore di sistemi di distribuzione veloci che in Giappone avrebbe avuto quindici lauree.
Come scritto nel post "Rogo", nel 1976 l'Mv Agusta, la marca motociclistica più prestigiosa e titolata del mondo vinse l'ultimo Gp con Agostini in sella.
Un ultimo, lancinante, canto del cigno, urlato dai suoi quattro scarichi a megafono.
Ma quella era una moto già congelata, era la massima evoluzione che risaliva all'annata precedente nella quale, comunque, era stata sconfitta.
Chi c'era dall'altra parte?
Il Pkk?
No, i giapponesi, che per certe cose sono ancora peggio.
I giapponesi, Suzuki e Yamaha, la Honda sarebbe arrivata un po' dopo, puntavano sul due tempi e a furia di botte tecnologiche, dischi rotanti e soprattutto le espansioni avevano stretto all'angolo il quattro tempi sia nella classe 350 che in quella regina, la 500, superandolo in potenza ma non ancora in guidabilità.
Magni decise allora di arroccarsi lì, al top, e dare tutto quello che poteva per resistere all'orda saladina:
tra il 1974 e il 1975 il motore della Mv 500 passò da tre a quattro cilindri, per cercare cavalli in alto, e attraverso progressivi step alla cilindrata piena di  498,6 cc, sempre bialbero, 4 valvole, raffreddato ad aria con un regime massimo di 14.000 giri.
In quella zona i cavalli ballavano tra i 98 e e 100... ancora troppo poco.
E allora, via i cerchi a raggi e su i primi a razze in lega leggera, su le prime semislick e poi slick pure con i megafoni che si debbono alzare per non strisciarli a terra in piega, coppia di freni a disco Scarab in luogo dei cavernosi fontana a tamburo, codino aerodinamico col ricciolo sollevato, vari tipi di telaio con inclinazione differente degli ammortizzatori.
Eccola, nella sua ultima evoluzione:




Macché, i due tempi vanno ancora un pelo di più... anche perché nel frattempo non stanno a guardare e si difendono essi stessi dalla furia disperata degli italiani che non ci stanno a beccare colpi di katana sul collo.
Poi finisce tutto di colpo, il Reparto Corse viene chiuso e la meravigliosa lotta di Arturo Magni cessa, quando in officina è pronto un mezzo completamente diverso, con motore quattro cilindri boxer che dalle prime botte al banco pare passi giù i cento cavalli in scioltezza.
Come sarebbe andata?
Probabilmente male comunque, alla lunga, vista la storia presa dalle competizioni, ma sarebbe stato bellissimo resistere, resistere e resistere.
Come andrà in Turchia?
Probabilmente nello stesso modo.

sabato 13 agosto 2016

Da piccolo facevo cose molto stupide...

Ma a ben pensarci, molto meno di quelle che faccio ora.
Una tra queste era disegnare i mostri spaziali.
Certo, tutto ciò è stato possibile solo dopo l'avvento di Goldrake nel '78, perché prima non c'era modo  (anzi sì, girava qualche film giapponese sulle private, di quelli con Godzilla, Gamera la tartaruga e tutto quel pantheon là), ma mancava il grosso della situazione, il magico.
Beh, che succedeva? Che io attendevo spasmodico la comparsa del mostro di ogni puntata armato di foglio e matita e in quei tre minuti scarsi di combattimento prima che l'eroe lo facesse saltare cercavo di riprodurlo meglio che potevo.
Sviluppando un certo acume avevo predisposto alcuni standard, per gli antropomorfi, gli insettoidi, i blobbosi, così da poter abbreviare il processo.
Poi stoccavo, infilando i miei file segreti stretti tra le enciclopedie che avevo in cameretta, perché volevo un archivio bello pressato e consultabile.
Unica controindicazione, spesso il senso ultimo dell'episodio andava perso, concentrato com'ero nel riprodurre il cattivone: apnea mentale per tre minuti = perché cazzo quello faceva quel che faceva?
Boh.
Non ho mai temuto di voler diventare segretaria in età adulta comunque, nonostante queste pratiche ordinatrici, anzi l'idea era quella del paleontologo per dissotterrare i dinosauri; poi per fortuna gli ormoni hanno cominciato ad aggiungere centimetri al pene e gli obbiettivi sono naturalmente cambiati.
Ma quanto mi piacerebbe riavere quei fasci di fogli abilmente vergati con gli ufo mostri, gli haniwa di Jeeg, i guerrieri di quell'altro.
E adesso li posso avere, in 3d!
Potenza della vita che non butta via mai niente, come su una nave se getti la spazzatura controvento: quella fa il giro delle murate e la buccia di banana finisce in faccia a qualcuno sul ponte.
Premessa drammatica: parlo di un'epoca, quella dei disegni, nella quale la riproducibilità era un concetto del tutto relativo.
La tv offriva uno e un solo passaggio di tutto, sembra incredibile detto ora che viviamo nell'esatto contrario, ma è così, ciò che andava perso era perso per sempre, e il dettaglio poco chiaro nessuno era in grado di svelartelo.
Era una rimozione continua, visto che i primi vcr erano ancora macchine fantascientifiche che forse esistevano in "America" (perché tutto doveva esistere laggiù "in America", dove in realtà viaggiavano su macchine sportive con le balestre.... che selvaggi del menga).
Comunque io, oggi, ho la possibilità di riavere in faccia tutte quelle bucce di banana; ci hanno messo quarant'anni a fare il giro dello scafo ma ora la Gazzetta (!) mi vende on line modellini dei mostri di Go Nagai alti una ventina di centimetri, che potrò finalmente osservare con tutta calma mentre metto su un dvd e studio l'episodio.
Anche le basi! Anche le basi!
Ne ho già individuati setto, otto imprescindibili, che cercai disperatamente di riprodurre rimanendo però senza una gamba, un occhio, uno scudo, mentre dentro mi si rompeva qualcosa (per la legge dell'irriproducibilità di cui prima).
Troverò la mia maturità di settenne a quarantasei!
Non è bello tutto ciò, non vi fa venire voglia di speranza nel futuro?

giovedì 11 agosto 2016

Non si può essere contemporanei per sempre

Ultimamente cominciavo a sentirmi così:


Si tratta della quarta di copertina di "Un Sedicesimo" (il nr.21 del 2011, ma sono tutti recuperabili o dal'editore stesso oppure in librerie specializzate tipo la 121 di via Savona, qui a Milano), il delizioso libriccino che Corraini Edizioni pubblica regolarmente.
Questo, bellissimo, di Toccafondo illustra il racconto, bellissimo, di Poe "I delitti della Rue Morgue".
Io, ovviamente qui sono lo scimmione.
Accadeva spesso ultimamente che mi ponevo domande riguardo la turpe vecchiezza che avanza fisicamente ma che non si manifesta parimenti mentalmente e mi fa pensare di trovarmi in quelle patetiche situazioni nelle quali fai lo sforzo per rimanere attaccatto ai ggiovani, nei modi di fare, di dire, di sentire anche se è chiaro che per loro sei altro.
Patetico appunto.
Il cruccio nasce tipico la mattina quando comincio a mettermi qua davanti a scrivere: cerco musica sul tubo e dov'è che mi vado ad incagliare?
Decennio, settanta, qualcosa ottanta, rarefacendomi via via verso i novanta ed oltre.
Attuale praticamente zero, piuttosto strumentali alla Sigur Ros, Arcade Fire o roba simile. Ma per poco.
Poi mi rimetto su Aladdin Sane, guardo quel fulmine sul volto e mi torna duro subito a sentire il piano sghembo di Mike Garson.
È un problema, penso.
Io amavo la moto, adesso i giovani no perché altrimenti si schianterebbero dovendo usare una mano per cercare Pokemon con lo smartphone.
Camilleri mi ha salvato giusto l'altro giorno da questo






Sì lui, il re dei tabagisti che scrive compulsivamente nonostante la veneranda età di uno e un solo personaggio sui libretti blu di Sellerio.
La frase è: -Non si può restare contemporanei per sempre. Quindi io mi fermo ai Beatles.
Taaac.
Era tutto lì, come sempre è del resto, solo che si guarda sempre altrove, e mi ha salvato la vita che mi resta.
Adesso infatti vado sul tubo e mi ascolto Transformer di Lou Reed (che dentro ci sia lo zampino del Duca è puramente soprammercato neh?), un disco glam che contiene perle vere.






fottendomene se Taylor Swift, Drake o Timberlake vendono un fantastilione di singoli ed io non conosco il ritornello dei loro singoli.
Non si può essere contemporanei per sempre, sarebbe anche ridicolo, e per molti lo è, quelli tesi all'inseguimento di qualcosa che tanto sfugge, non ci sono cazzi, e che qualcun altro ha ora, in questo preciso momento e a cui tu non hai più accesso, per credibilità, dignità, oppure solo, prosaicamente, età.
Ed è pure bello constatare che la faccenda è biunivoca, lui ha molto meno di quanto hai tu ora e non lo sa nemmeno... non ha ancora visto cose, non sa un cazzo di come funziona e di come verrà accartocciato dalla vita.
Per fortuna non faccio parte di quei patetici revisionisti per cui era tutto bello prima e tutto schifo ora, scordandosi, per ignoranza, fretta e ancora ignoranza che la gioventù fa ricordare bello tutto, anche la diarrea, e che il cervello, benedetto, ha una funzione meravigliosa che seleziona tutto lo schifo che anche allora c'era, cancellandolo.
E c'era.
Esattamente come ora.
Io non sono più contemporaneo, lo dichiaro e mi dimetto.
La Stratos sarà per sempre la più bella macchina mai prodotta, il sinistro di  Maradona e la volèè di McEnroe il gesto atletico più vellutato, il giro di qualifica di Senna l'estremo assoluto in fatto di puro avanzamento e lui, lui qui sotto



sempre molto meglio di questo deforme nipote mutato qua:



mercoledì 10 agosto 2016

Mordecai Richler

Ho appena finito di leggere questo, che l'autore scrisse nel 1980. Prestatomi da un amico e tutto scassato, con le alette sgarrupate, i segni di consunzione, letto con trasporto quindi, come spesso accade coi libri di Richler (oppure perché Adelphi fa carta di merda, ancorché supremamente snob ed elegante al tatto).



Adelphi con Richler ha cominciato  a sguazzarci nel 2001 pubblicando invece questo, che è celeberrimo, ha venduto  e vende ancora anche da noi e dal quale hanno tratto anche il canonico film




L'imbarazzo un po' parte dalle date, ovvio, quello sopra ha diciassette anni meno, però ha anche una cosa che manca e che forse, forse, perché lo dico senza avere lo straccio di un dato di vendita mondiale dei due, ma solo epidermica e fallibile opinione, la magia dell'intuizione.
Oh, Richler scrive bene sia detto, uno di quegli autori che compongono per strati di magma che vanno sovrapponendosi lenti e implacabili a tratteggiare il quadro, con flashback apparentemente caotici dei quali va a riannodare i fili apparentemente a caso durante il viaggio, ellittico, sovrabbondante di aggettivi che per i mie gusti potrebbero togliere almeno cento pagine dai balenotteri da cinque seicento pagine che scriveva.
Ma questo è affar mio, lui era Richler, vendeva e il suo editor lasciava fare, avranno ragione loro finché non farò altrettanto.
Eppoi, essendo ebreo canadese non si esce da questo continuo giochino dell'ebreo che è sempre un po' più di tutti gli altri, chissà perché, che beve a rotta di collo, sempre ubriachi tutti quanti visto che a briscola non gioca mai nessuno in alternativa, ed altre piccole perle che si ritrovano immancabilmente (ah, sì, corna, divorzi, fughe qua e là per il mondo).
Comunque, dicevo, in Barney c'è quella cosa che me l'ha fatto amare, quel ritrovamento, la spiegazione della scomparsa dell'amico Boogie fatta con un vero colpo di genio, la presa accidentale del Canadair dal lago: per me quel romanzo gira a trottola attorno a quel perno fantastico.
In Joshua non c'è, magari il gusto weird gli è venuto nei vent'anni successivi, chissà, e poi per lo sforzo c'è morto, visto che la dipartita (2001) ha seguito di poco la pubblicazione (1997).
Se gradite Richler dopo Barney, date senz'altro una sbirciata al suo vecchio predecessore Joshua, vi ci ritroverete come  dentro quella vecchia felpa ritrovata in fondo all'armadio, tanto comoda, che però, strano, rispetto a come la ricordavate manca di una manica...
Ma tanto, sotto all'ombrellone c'è chi legge persino Moccia, quindi potete fare lo sforzo di alzarvi di almeno di un metro sopra il cielo?
Stronzi ( inteso a chi c'è già sotto l'ombrellone. Io mi sparo radioterapia per il momento.Ah, ah...).